Uno degli argomenti che ritornano frequentemente quando vengono mostrati gli indici di crescita o decrescita dell’Italia, è quello del basso tasso di natalità del nostro Paese. Insieme alle politiche economiche o sociali, infatti, quelle legate all’aiuto alle famiglie sono sempre al centro delle agende politiche e delle proposte dei differenti governi, soprattutto legate alle motivazioni per cui in Italia il calo delle nascite è costante da anni, e ai modi per contrastarlo.
La branca di studi che si occupa di approfondire questi argomenti è la demografia, cioè la scienza che studia i fenomeni quantitativi che riguardano la popolazione, come natalità, mortalità, fecondità, ecc.. Ma cosa significano in dettaglio crescita zero o tasso di natalità, che sentiamo spesso citati in televisione o negli articoli, e qual è la differenza con il tasso di fecondità totale?
Vediamo in dettaglio i diversi indicatori che ci spiegano come si sta evolvendo, nel tempo, la popolazione italiana, e cerchiamo di capire quali sono i fattori che influenzano la natalità di un Paese, e che quindi potrebbero essere la strada da seguire per risolvere questo problema.
Partiamo da uno degli indici più conosciuti e citati, che sicuramente avrai già sentito nominare più volte: il tasso di natalità. Questo indicatore è molto presente nelle riflessioni sulla crescita dell'Italia perchè, purtroppo, è particolarmente basso, anzi, bassissimo, considerato che siamo ultimi in classifica se confrontati con gli altri Stati europei.
Ma cosa indica in particolare, e cosa rileva?
Per definizione il tasso di natalità è il rapporto tra il numero dei nati vivi dell'anno e l'ammontare medio della popolazione residente, moltiplicato poi per 1000.
Ovviamente, ci sono moltissime variabili che vanno ad influire su questo indicatore, che è differente da territorio e territorio. Difatti, varia anche tra le diverse regioni o addirittura tra le singole province italiane.
Alcuni fattori che incidono sul tasso di natalità possono essere:
Non possiamo poi dimenticare che, ovviamente, anche l’età media di una popolazione contribuisce a modificare questo indicatore. Come è facilmente intuibile, se rispetto al totale del campione il numero di giovani è elevato allora il tasso di natalità è più alto, e viceversa scende all’aumentare del numero di anziani. Allo stesso modo, la presenza di più donne in età fertile, cioè tra i 15 e i 49 anni, lo fa salire.
Come abbiamo già accennato, l’Italia detiene il triste primato di essere la nazione europea con il tasso di natalità più basso, pari nel 2022 a 6,8 (è la prima volta che il nostro Paese scende sotto i 7). Questo significa che ci sono 6,8 nascite ogni 1000 abitanti, contro le 11,3 nascite per ogni 1000 abitanti dell’Irlanda, che è invece lo Stato Europeo con il tasso di natalità più alto.
Un esempio che rende molto chiaro quanto, negli ultimi decenni, i cambiamenti della nostra società abbiano influito su questo indicatore è il fatto che, nel 1972 (quindi solo 50 anni fa), in Italia il tasso di natalità era pari a 16,3, quindi quasi il triplo. Questa forte contrazione c’è stata in tutti i Paesi sviluppati, ma come mai il nostro Paese si trova tanto lontano rispetto alla media europea, pari a 9,5?
Come abbiamo visto, le variabili che hanno abbassato negli ultimi decenni il tasso di natalità sono molte, la maggior parte delle quali comuni a tutti i Paesi Europei.
Uno dei fattori fondamentali è quello legato all’aumento del reddito: difatti, i Paesi più industrializzati sono quelli con la natalità più alta, ed è anche per questo che ti ho precedentemente accennato al fatto che anche all’interno della stessa nazione possono esserci valori molto differenti. Come in ogni nazione, ci sono parti del territorio più ricche e parti più povere, e questa diversità si riflette anche in questo frangente. In Italia, ad esempio, la natalità della Sicilia è più alta di quella della Liguria.
Sicuramente fondante per la modifica del tasso di natalità è il ruolo che ha giocato la figura della donna e la sua lotta verso l'indipendenza e la parità di genere. Ancora oggi questi argomenti sono al centro di movimenti di liberazione culturale sia nei paesi più industrializzati che in quelli più rurali, e lavorano per far uscire le donne dalle strette regole che ancora vedono il loro ruolo nella società come legato a a doppio filo al ruolo di moglie e madre.
L’accesso al mondo del lavoro, la parità di salario, la parità di diritti ha portato le donne a posticipare sempre più nel tempo la procreazione, in quanto parti attive della società al pari degli uomini, e quindi impegnate a studiare o a trovare un’occupazione.
Altre variabili che hanno modificato la società alle radici e cambiato la popolazione europea sono legate, infine, in generale al campo dell’istruzione e del miglioramento delle condizioni di vita. Se un tempo avere una famiglia numerosa significava assicurarsi una forza lavoro che potesse aiutare il sostentamento del nucleo famigliare (ricordiamo anche che la mortalità infantile era molto alta, e la vita media più bassa), l’elevarsi della classe socioeconomica e l’accesso ad una migliore istruzione hanno modificato il nostro modo di pensare alla famiglia, portando alla decisione di limitare il numero di figli al fine di poter garantire ad ognuno di essi una vita agiata.
Questa decisione si lega strettamente a due argomenti, che influenzano in modo importante il tasso di natalità, cioè le politiche di controllo delle nascite (come l’accesso ai contraccettivi o la liberalizzazione dell’aborto) e le politiche di sostegno alla famiglia. Proprio queste ultime vengono spesso considerate uno dei motivi principali della bassa natalità italiana, poichè meno sviluppate rispetto a quelle che sono state messe in atto negli altri Paesi Europei, come ad esempio la Francia.
Quando si vuole analizzare in modo più rigoroso la natalità di una popolazione, però, si tende a non utilizzare il tasso di natalità, perchè (come accennato), è influenzato dalla struttura per età della popolazione. Al suo posto, invece, si utilizza il tasso di fecondità totale (TFT), che può essere definito, in parole semplici, come il numero medio di figli per donna.
Proprio perchè non è influenzato dal fattore età, è l’indicatore scelto quando si vuole confrontare tra loro popolazioni che siano diverse, sia per posizione geografica che per epoca (ad esempio, può essere usato per paragonare l’ammontare di nascite nel nostro Paese al momento dell’Unità d’Italia e nel presente).
Poichè è strettamente legato al tasso di natalità, allo stesso modo e per le stesse motivazioni, nel tempo il tasso di fecondità totale si è contratto molto, sia a livello italiano che a livello mondiale. Nel 1861 in Italia era pari a 5 figli per donna, mentre nel 2021 è arrivato a 1,24. Nel mondo, invece, questa contrazione è stata più veloce: nel 1950 il tasso di fecondità totale era pari a 5,009, mentre oggi è 2,428.
Un punto di riferimento importante quando si parla di questo indice è che non si deve scendere sotto il 2, altrimenti la popolazione non aumenta, ma decresce. Molto semplicemente, infatti, avendo 2 figli una coppia assicura un ricambio generazionale pari nel momento del decesso dei genitori, che verranno sostituiti dai figli nel conto totale della popolazione (questo ovviamente presupponendo una mortalità nulla o trascurabile).
Per questo motivo, con un tasso di fecondità totale pari a 1,24, la popolazione italiana sta continuando a decrescere, anche perchè non viene mitigato da flussi migratori abbastanza alti.
Fino agli anni ‘80, la popolazione è stata sostanzialmente stabile, per poi ricominciare ad aumentare a partire dagli anni ‘90, e ancora di più con i primi anni 2000. Questa crescita, però, è causata quasi esclusivamente dall'immigrazione, perchè il saldo naturale (cioè la differenza tra il numero delle nascite e delle morti in un anno) era già negativo o di poco superiore a 0. Ricordiamo che, quando c’è un pareggio tra natalità e mortalità, si dice che un Paese si trova in crescita zero.
Negli ultimi anni, però, l’immigrazione verso l’Italia è diminuita, molti italiani sono emigrati e continuano ad emigrare all’estero (dal 2012 sono più di 100.000 persone ogni anno), e gli immigrati di seconda generazione stanno creando nuclei famigliari con un numero di figli minore rispetto a quello dei loro genitori, in linea con il trend italiano. Di conseguenza, se sommiamo questi fattori alla mancanza di sostegni concreti alle famiglie da parte dello stato, la situazione attuale dell’Italia è che, dal 2012 ad oggi, ha perso più di 1 milione di abitanti.
Nel 2022, in Europa, solamente le isole Faroe e la Francia hanno un tasso di fecondità totale superiore a 2, rispettivamente 2,29 la prima e 2,03 la seconda. Gli effetti negativi di un basso tasso di fecondità sono molti, tra cui la diminuzione, nel tempo, del numero di lavoratori attivi, e la necessità di richiedere ai giovani che decidono di non emigrare, rimanendo nello Paese di nascita, di sostenere la rete sociale dello Stato, aiutando, attraverso il pagamento delle tasse, coloro che non possono lavorare (sistema pensionistico).
Se vuoi imparare come trasformare i tuoi dati in grafici come questi che ti ho riportato, ti rimando all'articolo dei grafici e ti lascio una presentazione del mio videocorso GRAFICO MANIA, in cui insegno come crearli e interpretarli con Excel.